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domenica 27 febbraio 2011

Parcheggi a pagamento a "Le Iene"...

Qualcuno ritiene che grazie a queste trasmissioni siano tutelati i nostri diritti di cittadini e forse, in parte è vero.
Interessante il dibattito presente su AgoraVox.
Ma il problema vero è che in Italia si è perso il senso della misura e si scrive e si dice tutto quello che si vuole, determinando nei cittadini, ulteriore sfiducia verso le istituzioni. In definitiva, con trasmissione più o meno "libere" ci si sostituisci agli organi di controllo istituzionali che, quanto meno, si muovono entro i limiti posti dal diritto e secondo una dialettica giuridica che può dirimere, caso per caso.
Ciò non toglie che talune trasmissioni abbiano, facciano ed è giusto che facciano da eco a situazioni particolarmente gravi, rispetto alle quali non le istituzioni, ma gli uomini delle istituzioni sono latenti. In ogni caso, il diritto di cronoca non credo che coincida con il diritto di critica fine a se stesso, se non quello di raccontare la verità, evitando sensazionalismi e reazioni esasperate rispetto a fenomeni, quanto meno, discutibili.
Non si vogliono più gli autovelox sulle strade? non si vuole più la tariffazione della sosta? si vogliono abbattere i semafori?... insomma, si vogliono eliminare le regole della circolazione stradale per fare ciascuno secondo natura, anziché secondo diritto?
E' una scelta che io personalmente, ma se questo è, sarebbe meglio che fosse deciso dal popolo italiano e non anche da chi la spara più grossa, solo per aumentare lo share, a fronte di un meccanismo di emulazione per cui i cittadini si espongono ed espongono la pubblica amministrazione a dispendiosi contenziosi, non perché l'ha stabilito un giudice, ma perché l'ha affermato un programma televisivo. Una regola è valida e vigente, non perché pubblicata in G.U., ma perché trasmessa in TV.
Nel merito.
Si prenda il codice della strada e si legga che cos'è una carreggiata (art. 3, comma 1, numero 7 codice): "...in genere è pavimentata e delimitata da strisce di margine...". In sostanza, la delimitazione esterna della carreggiata a mezzo strisce di margine non è obbligatoria ma, in genere, è delimitata. Perché si deve delimitare la striscia di margine, in particolare quando delimita anche un'area di parcheggio al cui interno sono inseriti stalli di sosta? Non tanto per delimitare i margini della carreggiata - che sono visibili di per se, in fatto ed in diritto (art. 139, comma 10, regolamento) - ma per delimitare, laddove opportuno, le eventuali aree di manovra necessarie per effettuare il parcheggio, entro gli stalli di sosta. Non a caso il comma 3 dell'art. 141 del regolamento nell'indicare come devono essere fatte le strisce di margine della carreggiata, stabilisce che siano discontinue per separare la carreggiata dalle "...piazzole o zone di sosta e di passi carrabili...", dunque, aree all'interno delle quali avvengono le manovre che, nel caso di specie, favoriscono il parcheggio ovvero nelle zone di sosta (per l'appunto) all'uopo predisposte, ove i veicoli devono essere collocati nel modo prescritto dalla segnaletica (art. 157, comma 5 codice).
E del resto che cos'è il parcheggio? E' l'area (e dunque lo spazio, il piano, comunque delimitato ed organizzato) o l'infrastruttura posta fuori dalla carreggiata (di per sé, perché è connaturata e connaturale allo scopo per cui è stata realizzata, senza bisogno di particolari accorgimenti segnaletici di delimitazione, se non di localizzazione, mediante stalli) destinata alla sosta regolamentata o non (art. 3, comma 1, numero 34) codice).
Allora tutto ruota intorno alla infelice collocazione (piuttosto che prescrizione) del comma 6 dell'art. 7 del codice ovvero, subito dopo il comma 5 dello stesso articolo che tratta dei parcheggi a pagamento.
E' chiaro che solo una lettura pretestuosa e non sistematica - come dovrebbe fare un giurista che non si ferma al particolare, ma si interroga su tutto il mondo della legislazione ovvero il c.d. ordinamento giuridico, a sua volta soggetto alle regole della interpretazione e della integrazione - specula anche sulla collocazione di un comma di un solo articolo del codice della strada e del suo regolamento. Con quale scopo?
Beh, mi vien da pensare... senza troppo onore.
Ne per la causa della salvaguardia dei diritti (primo fra tutto quello della sicurezza, che passa anche per il rispetto delle regole della sosta), ne per la causa sociale. Giacché se un'indagine giornalistica seria si volesse fare, si dovrebbe avere la pazienza di ricercare quelle situazioni di mancato rapporto tra soste a pagamento e soste libere o, come nel caso di specie, di quelle situazioni nelle quali le strisce di margine (indipendentemente che il parcheggio sia o meno regolamentato, sia o meno a pagamento ma, in concreto, pericoloso, perché troppo prossimo alle correnti di traffico) non andrebbero tracciate "...in genere..." ma andrebbero tracciate e basta.
Certo, quei solerti cittadini che auspicano di parcheggiare ad un metro dal bancone del bar o all'ingresso dell'aula di scuola ove vorrebbero scaricare il pargoletto - possibilmente tutto a gratis e con buona pace della polizia stradale - non sarebbero così interessati come adesso, quando gli si prospetta di non pagare una giusta sanzione che garantisce a tutti di sostare perché...beh, forse lo abbiamo dimenticato: la strada non è un parco giochi per adulti, ma l'area di uso pubblico destinata alla circolazione (compresa la sosta) di tutti, compresi i pedoni e gli animali: di tutti e non solo dei più ineducati e prepotenti che, pagando il parcheggio, evitano di far della strada, casa propria.

venerdì 25 febbraio 2011

Prodotti Editoriali Maggioli Editore

Segnalo l'uscita de:
IL NUOVO CODICE DELLA STRADA E LEGGI COMPLEMENTARI
IL TESTO UNICO DELLE LEGGI DI PUBBLICA SICUREZZA E LEGGI COLLEGATE (compreso il codice penale ed il codice di procedura penale annotato)
PRONTUARIO DELLE VIOLAZIONI AL NUOVO CODICE DELLA STRADA

sabato 5 febbraio 2011

Martina va alla guerra, di Antonella Manzione




Un libro, non è solo, il suo contenuto.
Così, quando prendo un libro, le mie dita ne scorrono le pagine, le mie mani lo afferrano ed il mio sguardo si sofferma sulle immagini.
L'immagine di copertina, forse, ritrae Martina, la bambina coraggiosa, che decide di combattere la sua guerra e lo fa fin dalla sua infanzia, cavalcando, statuariamente, il suo immaginario cavallino, mentre, sullo sfondo, lontano, il paesello e la sua gente, rimane estraneo a questa solitaria battaglia.
Nel risvolto della copertina, quella che chiude definitivamente il libro, chissà, c'è una Martina ormai grande, cresciuta e dallo sguardo sereno e dai capelli al vento...ed ancora, sullo sfondo, un frammento di costa che si tuffa nel mare.
Il paese, la terra e la sua gente, spesso, resta distante dal campo di battaglia ed il coraggioso combattente resta da solo, isolato, dal mondo intero per cui è fiero di combattere.
Posso pensare che Martina non è una persona, se non tante persone: tutte quelle persone - vittime o carnefici, in ragione del frammento di storia nel quale si scatta la fotografia - che decidono di lottare, per vincere la loro guerra.
Una guerra di conquista, di vittoria, di risalita, inevitabilmente segnata dal sangue.
Non a caso, questo romanzo si colloca nella collana editoriale "Le ragioni dell'occidente", ove si pretende di affrontare le problematiche che stanno incendiando il mondo moderno.
Non è finito il tempo in cui si combatteva per conquistare un territorio inesplorato o per togliere quello occupato, all'ultimo occupante. Per diverse motivazioni, per diverse ambizioni, per diversi scopi, per diversi ideali...alla ricerca di quella giustizia che gli uomini hanno inventato, catalogato, organizzato secondo propri modelli mentali e culturali.
Ci sono ragioni vere a giustificare una guerra, questa guerra, la guerra che combattiamo giornalmente, noi occidentali?
C'è davvero la necessità di pensare ad un campo di battaglia, come un luogo dell'anima, dove il conflitto può essere superato con la ragione dl più forte?
Può davvero, un giudice, ridare dignità ad un corpo martoriato dall'ingiustizia?
O forse, la mente che alberga in quel corpo, può provare a cercare giustizia nelle proprie ragioni, affidando al giudice il solo compito di valutare ciò che di più giusto serve alla società che ha costruito le sue regole?
Non so se questo romanzo può essere davvero inteso come una toccante variazione narrativa sul tema del mobbing, quando, ancora, questo così delicato tema di rapporti umani è così poco conosciuto e valutato dal nostro sistema giustiziale.
Piuttosto, ritengo che questo romanzo sofferto, tratta del dolore che aggredisce chiunque muove la competizione sociale, fino a dimenticare che i competitori altro non sono che persone, esseri umani e quindi, animali.
In queste righe scritte "col sangue", ogni singola pagina è una meditazione sui rapporti familiari e sociali, sui condizionamenti che la famiglia, gli amici, i colleghi di lavoro, l'organizzazione sociale e giustiziale, comporta.
Pagine ricche di immagini fatte di parole e di parole fatte di immagini, di aforismi da meditare e trascrivere, di nomi e personaggi che trovi nelle viuzze di ogni piccolo centro...forse perché, semplicemente, si parla della vita e del bisogno di distaccarsi, prima o poi, da tutto ciò che ti blocca pesantemente al suolo e non ti permette di liberarti da ogni inutile fardello.
Un libro, il cui filo conduttore è l'amore filiale.
Quel figlio che talvolta, in questa società del "fare", si tende a dimenticare o a consegnare ad altri, per preoccuparci soltanto del suo avvenire economico (forse, solo una scusa, per governare il nostro senso di colpa nel lasciarlo solo a se stesso e noi, a dedicarci, anima e corpo, ai nostri affari professionali), ma così poco dei suoi bisogni e delle sue difficoltà di infante, bambino, adolescente e quindi, uomo: vittima tra le vittime.
Ma quell'amore filiale che dura e perdura, per tutto lo svolgersi del racconto, quasi a martellare la coscienza della sua protagonista, sempre più consapevole dell'inutilità delle sue innumerevoli attività che tolgono tempo a sua figlia.
Un finale pacato, semplice e distratto dalla globale complessità di un testo accattivante e comprensibilissimo, fin nelle più piccole sfumature.
La chiusura di una storia complicata, la storia comune a molti di coloro i quali amano interrogarsi sulle vicende del proprio esistere, si confonde con l'ingresso trionfante e preoccupato della forza-debole dell'amore.
Sol per questo vale la pena lottare e combattere la buona battaglia, vincendo comunque la nostra guerra, ancorché restando soli a godere della libertà che ci è data dall'amore e da chi ci ama davvero, per quello che siamo e non per quello che costruiamo.