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sabato 30 luglio 2011

Io, il mio lavorto e la politica

Su di una pagina di FB, mi è stato contestato il fatto di fare politica, a discapito dello scopo della pagina stessa, ch'è quella di scherzare, tra "amici"... beh, in fondo, non mi sembra che parlare dell'attuale modo di fare politica, sia poi una cosa così seria: anzi, direi che se non fossero vere, molte delle cose che scrivo, sarebbero persino inimmaginabili... in un Paese Normale. Ma giustamente, se non altro nel rispetto di chi ha fatto quella pagina è giusto che mi taccia e mi limiti ad esprimere delle idee sul mio blog, affinché chi le vuol leggere, non si senta "leso" nella sua libertà di "cazzeggiare".
Però, quando quella stessa persona si è meravigliata del fatto che un ufficiale della polizia municipale, faccia politica, in genere, beh, questo mi ha dato un po' fastidio, se non altro perché quando esercito il mio diritto di Cittadino della Repubblica, anziché di pubblico funzionario, credo di non dover rispondere a nessuno, se non osservare la Costituzione nella quale credo profondamente e che all'art. 21 recita: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione".
Del resto, nell'esercizio della mia funzione di "pubblico impiegato", questa stessa Costituzione prevede all'art. 98 che i pubblici impiegati siano al servizio esclusivo della Nazione e che possono essere stabilite limitazioni al diritto di iscrizione a partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia.
Ebbene, io non sono iscritto ad alcun partito politico, non tanto perché esista una legge, in concreto, che mi vieta tale esercizio ma, piuttosto, perché l'attuale panorama politico non mi offre motivazione alcuna per iscrivermi ad un qualsivoglia partito politico che riesca a rappresentare il mio pensiero. Certo, ho la mia origine ideologica ma, probabilmente, questo mio manifestare il mio libero pensiero e dunque, un pensiero molto trasversale sul mio personalissimo concetto di politica - quale scienza che pensa al futuro del Paese e quindi, formata da scienziati che studiano e risolvono i problemi del Paese, anziché i propri - non riguarda un partito specifico ma, per l'appunto, un modo di concepire la politica e di criticare quella attuale: tanto di chi governa, quanto di chi si oppone.
Per altro verso, quando, nel mio primo atto di pubblico dipendente ho giurato Fedeltà alla Repubblica, ho giurato fedeltà alla Res-Publica e quindi alla cosa di tutti, giurando, tra l'altro, di difendere il mio Paese ed i suoi valori - primo fra tutti quello solidaristico dell'Unità Nazionale - da chiunque intendesse aggredirla.
Quando,anziché tacere, esprimo il mio dissenso verso chi tenta di dividere il Paese, violando questo Patto di Solidarietà Nazionale, inventandosi un proprio inno territoriale (dimentico del valore socio-culturale-politico, di quello stesso inno); una propria bandiera territoriale; un proprio becero modo di rappresentare l'istituzione nazionale; un'organizzazione politico-governatico-amministrativa del territorio. Quando, insomma, fomentando il dissenso locale, lo si illude di rappresentarlo, contestando l'esercizio di un potere centrale del quale si fa parte a pieno titolo e del quale ci si nutre, la cui principale preoccupazione non è quella di salvaguardare l'interesse della Res-Publica, ma neppure della Res-Locale ma, esclusivamente, la Rer-Personale.
Beh, in tutto questo, anche in tutto questo, credo di adempiere ad un mio preciso dovere di pubblico funzionario e di libero cittadino tra cittadini liberi: raccontare dei fatti.
Fatti che non sono tratti da giornali di "altro regime" ma dall'ANSA o da AGI, relativamente ai quali, ciascuno, io compreso, è libero di giungere ai propri convincimenti.
Il giorno in cui un popolo non avesse l'opportunità di confrontarsi col pensiero, anche di un solo cittadino dissidente, quel popolo non sarebbe completamente libero.
E quel giorno in cui ogni cittadino non avesse la facoltà di decidere sull'assurdo pretesto che altri cittadini od un solo cittadino può decidere per lui, sarebbe venuta meno la più elementare particella di libertà ovvero, la partecipazione.
Questa è la mia idea di politica e per questo, come cittadino, prima, e come pubblico dipendente, poi, non credo di offendere nessuno ad esprimere ciò che provo e se a qualcuno tutto ciò può dar fastidio è sufficiente cancellarmi...
...più semplice di così!
Comunque, sia chiaro: dal 1981 ad oggi, il mio servizio è stato offerto ai cittadini del mio comune, con equidistanza da qualsiasi area politica di governo, se non nel rispetto delle regole che quella stessa amministrazione ha desiderato, come proprio obiettivo politico sul territorio locale.

martedì 5 luglio 2011

...eravamo quattro amici al bar...

Bella la canzone di Gino Paoli, dove quattro amici al bar, si incontrano, per cambiare il mondo.
Proprio ieri sera riflettevo sull'odierno modo di amministrare la cosa pubblica: a Roma, come in ogni comune di quest'Italia che esprime delle volontà ed ottiene risposte governative od amministrative completamente diverse.
Così il Governo non molla, ma neppure mollano i governucoli locali dove hanno preso forza i c.d. movimenti che si definiscono apolitici e che, strada facendo, si rintuzzano di politici non eletti, per mantenere ferme le maggioranze, come quella del "Re Travicello" di Giuseppe Giusti.
Da giovane, passavo per le strade disadorne del mio Paese, ma profumate dell'odore della gente e percepivo la voglia di appartenenza e di futuro che conquistava le masse che, a loro volta, si identificavano in un partito, dove si parlava di ideali, di futuro,... Poi quella stessa gente si ritrovava al bar, per giocare a carte e, magari, per tornare a parlare di politica. Ma la politica si faceva nelle sedi dei partiti e quel progetto approdava in consiglio comunale dove l'eletto si esprimeva a nome del suo partito e quindi, di un gruppo significativo di elettori che decidevano il futuro del Paese, tramite il proprio rappresentante.
Poi le cose sono cambiate ed i partiti sono stati demoliti in radice, come se il male dell'Italia e dei suoi più di ottomila comuni, fossero i partiti.
Si è persino nominata una strada a questo sistema da abbattere: tangentopoli.
La strada adesso è semplicemente sterrata ma chissà, forse è ben più larga di quella della prima Repubblica e su quella strada corrono, forse, più automobili di un tempo, che però, non sono ben identificabili, perché caratterizzate da carrozzerie che cambiano colore in funzione del tempo.
Adesso le strade del mio Paese sono più pulite, ma non si sente più il profumo della gente, ma un profumo di pulito sintetico, come quei saponi di adesso che non ti lasciano il piacevole ricordo del bucato appena fatto, ma ti aggrediscono la gola.
Adesso la gente è presa dai suoi affari e non ha tempo di perdersi a sudare dentro la stanza di un partito.
Ci si incontra come quattro amici al bar e, in odore di elezioni, se decide tutto il bello ed il cattivo tempo per quel futuro troppo prossimo da affrontare con un programma estemporaneo, dedicato più alla ricerca di consensi che non ad un progetto credibile.
E' l'epoca dei movimenti, fatti da gente pura (almeno così si definisce) che non si confonde con il sistema dei partiti, ma ascolta tutti, quasi che l'idea della storia, dove ci si schiera e quindi, in ragione della propria idea primigenia, ci si impegna, sia scomoda. Forse perché quando ci si schiera, si inventa un nemico a cui opporsi o comunque si offrono pretesti per essere opposti.
Invece, se non ci si schiera ma, come un'odiosa ameba ci si spande senza avere oppositori, ci rende fagocitatori di consenso e dei consenzienti... questione di tempo.
Paradossalmente, a me piace la politica.
Ma il mio modello politico è forse un modello troppo scientifico (non per darmi delle arie, intendiamoci), che si basa su criteri logici, su teoremi da dimostrare e da applicare in concreto, senza che la legge del consenso possa strada facendo, cassare un programma che un grande gruppo di elettori aveva approvato.
Un modello troppo netto, che non consentirebbe agli anguilloni dei movimenti di muoversi agilmente in ambienti troppo ristretti, col rischio di perdersi per strada.
Andreotti ha detto che il potere logora chi non ce l'ha ed è vero.
Perché chi ha il potere - nel senso che il potere è dentro di se, senza la necessità che altri glielo riconosca - non vive del consenso altrui, ma propone il proprio programma, la propria idea di futuro, così come l'artista, propone la propria scultura, il proprio dipinto, il proprio canto, la propria lirica, senza la necessità di conformare tutto questo al prevalente gusto estetico del momento.
Questo fa di uno sclultore, di un pittore, di un cantante, di uno scrittore, l'ARTISTA.
In questo sta la differenza tra chi fa politica nei partiti e tra la gente ed i quattro amici al bar che si trovano in odore di elezioni: i primi sono artisti, perché pensano al futuro secondo la loro intuizione condivisibile; i secondi, si conformano ad una mediocre idea di futuro che spesso neppure condividono o non capiscono, ma supinamente accettano per sentirsi "potenti" per poi, strada facendo, restare soli.
Quel che mi spiace, francamente, non è per il fatto che rimangono soli, ma per il fatto che il Paese, in virtù di questa logica perversa dove tutto cambia perché niente cambi, rende il Paese solo.